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Via Francigena Toscana
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Riflessioni personali
L’emozione di percorrere la Francigena nasce da lontano. Chiunque sia un frequentatore di percorsi all’aperto (a piedi o in bicicletta) conosce l’esistenza di questo antico percorso di oltre mille chilometri che da Canterbury conduce a Roma risalente al 900 d.C. e chiunque di noi conosce un/a amico/a che ne ha percorso un tratto (da solo o in compagnia) ed è di conseguenza considerato, a ragione, fortissimo e degno di rispetto. Percorsi di questo tipo (come i cammini di Santiago, o il cammino di S. Benedetto ecc.) sono generalmente indicati come pellegrinaggi e per estensione, i loro frequentatori vengono definiti pellegrini. Personalmente non sono d’accordo con questa identificazione, almeno nel mio caso, la loro percorrenza è priva di qualsiasi intento religioso, e le modalità di percorrenza sono lontane dai disagi del periodo medioevale, tuttavia al giorno d’oggi percorrere decine o centinaia di chilometri rinunciando alle consuete modalità di spostamento (auto, treno, bus) sapendo di poter contare solo sulle proprie forze e sull’abbigliamento che può essere trasportato nei propri zaini e borse, genera automaticamente una forma di rispetto, perché molti di noi pensando alle fatiche e ai disagi di questa modalità spesso si sentono trattenuti dal praticarla. Ed in effetti viaggiare giorno dopo giorno, in balia dei capricci del meteo, appesantiti dal bagaglio e dalla fatica, scegliendo di dormire, come abbiamo fatto noi, in ostelli o alloggi modesti, comporta una serie di disagi che non si affrontano a cuor leggero. E allora perché scegliere di trascorrere una settimana di vacanza in questo modo? Ciascuno di noi se lo è chiesto prima e durante le fatiche quotidiane, e inevitabilmente la risposta è che il viaggio ci cambia, esalta il nostro carattere, rafforza le amicizie all’interno del gruppo. Le meraviglie del paesaggio, la maestria dei borghi e delle città che via via scorrono durante il tragitto, ci fanno sentire piccoli e al tempo stesso orgogliosi di appartenere alla razza umana che tali meraviglie ha saputo creare e conservare nel tempo.
Personalmente ho percorso un tratto della francigena Da Aosta al Gran Sambernardo a Bardone nel 2001, agli inizi della mia “carriera” di biker, la settimana successiva alla due giorni Bologna-Lucca (mio primo giro in assoluto in gruppo). Ho girato in Toscana innumerevoli volte lungo i tracciati della val d’Orcia, i percorsi dell’Eroica, la via degli Etruschi, e occasionali partecipazioni a giri organizzati da biker locali. La mia adesione a questo progetto è stata immediata ed entusiastica fin dal primo annuncio di Aurora alla presentazione dei programmi del CicloCAI di Bologna a febbraio.
E da lì è cominciata la mia avventura. Sì, perché una ciclo-vacanza di questo tipo non comincia col primo giro di pedali, ma con la preparazione logistico-psico-fisica: con quale bici lo affronto, come mi alleno, cosa mi porto, come lo carico, con chi condividerò il viaggio? E queste sono state le preoccupazioni di ciascuno di noi, ma è inevitabile pensare che le nostre guide (Aurora e Nicola) hanno dovuto pensare anche e soprattutto alla traccia da seguire, all’individuazione dei posti tappa, alla prenotazione dei posti letto, alle modalità di raggiungimento del posto di partenza (Lucca) e a come tornare (Bolsena-Orvieto-Firenze/Prato-Bologna/Ferrara). Hanno dovuto informare i possibili partecipanti, convincerli, selezionarli, mostrare ottimismo a fronte di qualunque dubbio e/o avversità e cosa non da poco, caricarsi della responsabilità della loro partecipazione.
Detto questo il giro è cominciato da Lucca (da me raggiunta in treno da Prato a sua volta raggiunta in auto da Bologna), che ci ha accolto con pioggia pesante e 4° di temperatura. Per fortuna, la pioggia ci ha concesso qualche ora di tregua per permetterci di visitare il centro di Lucca, le mura e partire per il nostro percorso. La pioggia ha ripreso a tormentarci nel primo pomeriggio, trasformandosi anche in grandine, nel momento peggiore, in cui eravamo in un boschetto su sterrato a pochi chilometri da Galleno, dove ci siamo rifugiati e asciugati ed abbiamo collezionato il nostro primo timbro sulla credenziale del percorso. La calda accoglienza in questo bar ricorda da una parte gli antichi gesti di accoglienza dei veri pellegrini, dall’altra l’importanza (anche economica) che questi tracciati di grande fascino esercitano sul turismo e non ultimo sull’economia dei tanti piccoli borghi dislocati lungo il percorso, ma fuori dal turismo di massa. Finita la pioggia abbiamo ripreso il cammino raggiungendo il nostro primo ostello a San Miniato dove ci siamo sistemati in due camere con letti a castello e bici incastrate in ogni dove. Evito di fornire i particolari di questa e delle successive cene che poco hanno a che fare coi concetti di frugalità pellegrina! 😊
Da San Miniato abbiamo proseguito in una gelida mattina lungo la Val d’Elsa dirigendoci verso un nuvolone scuro e minaccioso. Abbiamo avuto la fortuna di trovare rifugio in un bar di fianco ad un distributore di benzina nei pressi di Casenuove poco dopo Castel Fiorentino. Passato l’acquazzone abbiamo vinto la ripida erta che ci ha portato a Gambassi Terme e infine siamo arrivati a San Giminiano, che ci ha accolto tra le sue torri con una cioccolata calda nella piazza del municipio. Qualche altro chilometro ci ha portato al camping del boschetto di Piemma, dove ci siamo sistemati in piccoli bungalow da 2/3 posti con riscaldamento a manetta.
Siamo partiti da San Giminiano in una bella mattinata di sole, per quella che per me rimane una delle tappe più belle della settimana. Il percorso si sviluppa lungo una ciclabile sterrata dell’Eurovelo 5 che per un lungo tratto scorre a fianco del fiume Elsa da cui la valle prende il nome. Le colline attraversate sono altamente sceniche, ricche di cipressi e vigneti che devono necessariamente stare lì, per offrire al mondo il meglio del paesaggio toscano! L’incanto finisce quando comincia la Cassia che ci ha portato nel centro di Siena, dove abbiamo pernottato in un convento di suore, in belle camerette pulite e profumate, con termosifoni accesi. Passeggiare per Siena è un privilegio di cui tutti dovrebbero godere almeno una volta nella vita, alloggiare in pieno centro, in un palazzo d’epoca è un premio che da solo avrebbe giustificato le fatiche del viaggio. Con nostro stupore abbiamo verificato che Siena di sera si svuota, esaltando il fascino dei suoi monumenti.
Da Siena siamo scesi lungo la val d’Arbia in un percorso di grande fascino, incontrando numerosi “pellegrini” a piedi, tutti accomunati dal passo rapido e sicuro, dal portare un grande zaino, e dallo sfoggiare un perenne sorriso. Una tappa finalmente facile dal punto di vista altimetrico che ci ha portato a Buonconvento all’ora di pranzo. Dal punto di vista turistico Buonconvento è una strada di ristoranti e bar, pronta a soddisfare tutte le esigenze dei viandanti, e così è stato anche per noi, che ci siamo “accontentati” di un negozietto minuscolo di delizie fast food, non intese come hamburger, piuttosto come prodotti di rosticceria: pizze, lasagne e arancine. Il gestore è stato così contento della nostra presenza dal regalare ad Aurora una esclusiva confezione di mozzarella di bufala affumicata! Raggiunta Torrenieri ci siamo divisi in due diversi miniappartamenti, deliziosamente arredati, dotati di ogni confort. Purtroppo, abbiamo mancato l’appuntamento con la partenza di un treno a vapore dalla stazione locale. Un raro caso di treno partito in anticipo!
Da Torrenieri è cominciata l’avventura delle tappe “toste”. Si entra in val d’Orcia e dopo aver visitato il bel paesino di San Quirico d’Orcia, non ci siamo fatti mancare l’opportunità di visitare la zona delle antiche vasche di Bagno Vignoni, con piccola escursione a piedi. Abbiamo proseguito fino a Contignano, un piccolo paesino in cui abbiamo incontrato una sola persona del posto, la gestrice di un piccolo negozio di alimentari che ha chiuso dieci minuti dopo il nostro arrivo. Ci siamo sistemati nei tavolinetti della piazza deserta in compagnia del vento e di un paio di gatti più che disposti a farsi fotografare. Usciti dal paese abbiamo affrontato due tratti di oltre cinque Km di salita con pendenza superiore al 5% totalizzando a fine giornata un dislivello di 1100 m (un battesimo per Daniela abituata ai dislivelli della pianura Padana), raggiungendo infine Radicofoni, dove abbiamo alloggiato in un unico stanzone dell’ostello comunale, con le bici accumulate lungo le scale.
Partiti di buon’ora da Radicofoni, sotto una pioggia agli sgoccioli, ci siamo goduti 15 meritati Km di discesa su asfalto fino ad incontrare il fiume Paglia ed entrando in Lazio dove in località Poceno abbiamo attraversato l’artefatto portale. Qualche altro chilometro e il lago di Bolsena era già in vista, ma la nostra traccia ci ha portato ad un avvicinamento tangenziale su un bel fuoristrada, ideale per la mountain bike, un po’ impegnativo per un manipolo di avventurieri impazienti di sdraiarsi al sole. Eseguito il rituale dei piedi a mollo da parte dei più temerari di noi, il gruppo si è diviso tra restanti e rientranti. Noi ultimi abbiamo affrontato ulteriori 7 Km di salita per poi tuffarci in inesauribile e piacevole discesa fino a Orvieto per prendere il treno per il rientro. La stazione deserta e la fortuna ci hanno consentito un comodo rientro sull’IC Roma-Trieste per dividerci ulteriormente a Firenze e a Prato per proseguire il nostro viaggio coi mezzi lasciati a Lucca e a Prato.
Qualche numero:
8 Partecipanti: Aurora, Nicola, Valentino, Daniela del CAI di Ferrara, Elisa, Francesco, Carlo e me del CAI di Bologna. Voto dell’esperienza 10/10, giudizio sugli accompagnatori 10/10, giudizio sul gruppo 10/10, giudizio sul meteo 2. Km percorsi 334 (fino a Orvieto), dislivello superato 5420 m (fino a Orvieto). Consumati: 6 cappuccini, 11 caffè, tre bomboloni, due brioches, due fette di torta, tre piatti di pici, tre di crostini, due taglieri, una porzione di lasagne, una pizza, una grigliata di carne, una frittura di pesce, tre piatti di verdure, una crescente due panini di cui uno con porchetta, una confezione di cantucci, tre mele, due fragole.
Massimo Capobianco, CAI Bologna